Sto seguendo con preoccupazione e sdegno quanto accaduto riguardo al caso Weinstein ed ai suoi strascichi italiani.
È di questi giorni, infatti, la notizia che alcune attrici italiane accuserebbero Fausto Brizzi di molestie sessuali in occasione di casting e provini.
Solo che, esattamente come accaduto per Asia Argento nel caso Weinstein, hanno già iniziato a circolare le solite vocine che parlano di un tentativo di farsi pubblicità. Che dicono “poteva anche dirlo prima“, oppure “eh, però le ha fatto comodo in tutti questi anni“.
Voci che io, onestamente, non capisco e che mi fanno pensare che a dispetto di tutte le nostre pretese siamo ancora una società maschilista.
In dieci anni di avvocatura e tre di praticantato ho assistito a molti processi per molestie e violenze sessuali. Nonostante le singole peculiarità, tutti avevano un denominatore comune: quella strisciante convinzione che certe cose, in qualche modo, ce le si va a cercare. Che “non voglio difendere il molestatore, per carità, però se evitasse di andare in giro mezza nuda..”.
Analogamente, in questi giorni, ho sentito molti pareri di gente comune che afferma “con tutta la comprensione, ma i provini pensava di farli in camera da letto? che ci è andata a fare?“.
Oppure: “ma non lo immaginava che un invito a cena avrebbe nascosto un interesse ben diverso da quello professionale?“.
Io non voglio fare la paladina dei derelitti, e sono la prima sostenitrice della teoria per cui per migliorare la condizione femminile in questa società è necessario crescere donne più forti e consapevoli di se stesse e del loro valore.
Ma nonostante ciò, non posso fare a meno di pensare che discorsi come questi non fanno che delegittimare la lotta dei buoni e dei giusti contro il male.
L’ingenuità non è un reato.
La molestia sì.
Nemmeno la malizia, la furbizia, il tentativo di trovare una facile scorciatoia per una carriera brillante sono un reato.
La violenza, il ricatto, la minaccia sì.
Potremmo discutere a lungo su cosa possiamo fare come popolo, come cultura, come società, per insegnare alle nostre figlie che il sesso non è merce di scambio per la professione ( e Dio solo sa quanto ne avremmo bisogno). Ma poi, quello che dovrebbe restare è l’assoluta convinzione che certi comportamenti non possono trovare alcun tipo di legittimazione o comprensione.
Noi non ce ne accorgiamo, probabilmente sono schemi mentali talmente arcaici da essere radicati nel profondo della nostra morale. Ma quando diciamo “non voglio giustificare, ma..” invece stiamo giustificando. Stiamo offrendo comprensione ad un comportamento che non solo non andrebbe compreso, ma messo all’indice e punito. Nella maniera più esemplare possibile.
Perchè un uomo che ti chiede il sesso per offrirti una posizione, in qualunque settore, ti sta dicendo che tu non vali niente. Che puoi fare strada solamente così. Che non avrai mai nessun altro modo per emergere e costruirti un futuro. E per ogni donna che ci crede, che cede alla facile opzione di barattare il proprio corpo al successo, ce n’è una che nasce con milioni di possibilità e prospettive ridotte, perchè quando arriverà il suo turno “sarà così che funziona”.
Spesso vengo accusata di essere una persona integralista, con opinioni spaccate in maniera troppo decisa tra ciò che è bene e ciò che è male. Di non conoscere le sfumature di grigio che popolano la gradazione di colore tra il bianco e il nero.
Ma la verità è che io mi rifiuto di credere che di fronte ad un abuso ci sia per forza un “ma…”.
Un abuso è un abuso. È sbagliato, va punito e screditato. Ammorbidirsi nei confronti di un prepotente, in qualunque campo, serve solo a rafforzare la sua dittatura. A dirgli “vai avanti così: troverai sempre un debole, un ingenuo, un furbo che giustificherà con le proprie fragilità la tua infamia“.
E io mi rifiuto di credere che questo è il meglio che posso insegnare a mio figlio.
Se è vero che il progresso di un popolo e l’evoluzione della sua cultura si misurano anche con i risultati delle politiche educative sui giovani e sulle nuove generazioni, mi aspetto molto di più da questo paese “civile” di quanto è stato capace di produrre sino ad oggi.
Mi aspetto la nascita e la promozione di una cultura di solidarietà dove la vittima è vittima e non mezza carnefice di se stessa perchè “in fondo un po’ se l’è cercata”.
Se insegnassimo ai nostri figli, con l’esempio, che certe cose sono sbagliate, forse smetterebbero di farle anche se sono più comode. Se, invece, continuiamo a ripetere loro che forse Weinstein non è proprio l’orco cattivo perchè la signorina in camera sua ci è entrata sulle sue gambe, non facciamo altro che confermare il clichè che vuole la donna furba e l’uomo ruffiano.
Dobbiamo educare, nel prima. Ma se poi l’intento educativo fallisce, non possiamo scaricarci la coscienza con un’assoluzione a metà. Dobbiamo stringerci intorno a chi ha subìto l’abuso anche se ha commesso un errore.
Perchè, come dice Gramellini, abbiamo la responsabilità di dire a Cappuccetto rosso che nel bosco c’è il lupo.
Ma quando poi il lupo se la mangia, è nostro dovere andare ad aprirgli la pancia per tirarla fuori.