5 cose che ho imparato nella vita ma che avrei voluto sapere a 20 anni - Piano terra lato parco

Mia nonna mi diceva sempre che bisognerebbe essere piccoli con la testa dei grandi e grandi con il corpo dei piccoli.
Aveva ragione, perchè crescendo ho imparato un sacco di cose che mi avrebbero risparmiato un mare di arrabbiature e delusioni, ma anche sofferenze, se le avessi sapute fin dal principio.
No, non sto parlando solo di banalità come “la ceretta è meglio della lametta“, anche se in effetti sarà una delle prime cose che dirò a mia figlia allo spuntare dei primi peli.
Mi riferisco, principalmente, a quelle lezioni che si apprendono con gli anni e che ti fanno arrivare all’alba dei 40 con un bagaglio di competenze che ti hanno insegnato davvero a vivere bene (se ne hai voglia, perchè se non ne hai voglia puoi aver ricevuto tutte le lezioni che vuoi ma vivrai sempre male).
Io i 40 anni li compio a dicembre e posso dire di aver imparato un sacco di cose che hanno migliorato la qualità della mia vita ma che avrei voluto sapere a 20 anni. Con tutta probabilità, le trasmetterò ai miei figli non appena possibile, perchè anche loro le sappiano . Anche se sono sicura che, nella normale dinamica genitori-figli, io diventerò presto la madre rompipalle e pesante che dice cose noiose e, quindi, non mi ascolteranno..finendo col vivere metà della loro vita complessati per poi arrivare a 40 anni e capirle, liberandosi.
Ma tant’è, ci siamo passati tutti, è generazionale. Forse questo dovrebbe essere proprio l’insegnamento numero uno.
1. Non sono nata per rendere felici gli altri.

Non capirò mai per quali ragioni veniamo indottrinati fin da bambini con ricatti subdoli tipo “fai questa cosa per la mamma/fai questa cosa che mamma è contenta“, oppure “se fai questa cosa la mamma ha dispiacere“.
I figli non vengono al mondo per renderci felici, li dobbiamo educare ad essere in un certo modo per se stessi, non per far contenti noi.
Devono studiare per avere una cultura e gli strumenti per affrontare la vita al meglio, non per soddisfare le aspirazioni di mamma e papà con una pagella di 10.
Devono essere gentili e ben educati col loro prossimo per essere dei bravi cittadini della società, non perchè il contrario fa piacere a mammina.
Spesso, per una buona metà della nostra vita, ci facciamo condizionare dal desiderio che le persone che amiamo siano orgogliose di noi, perchè vogliamo che siano felici e vogliamo essere noi a renderle tali.
Con la crescita ho imparato che la felicità di un’altra persona non può dipendere da quel che decido di fare della mia vita, così come non è giusto che la mia felicità debba dipendere da qualcun altro.
Io non sono nata per rendere felici gli altri. Non posso vivere la mia vita cercando di contentare tutti.
Posso dispiacermi per loro se non sono felici di me, se non corrispondo alle loro aspettative. Ma ho imparato che questo è un problema che non mi riguarda.
2. Essere felici è una scelta.

Avevo già raccontato qui come io sia fondamentalmente convinta che la felicità sia una scelta che compiamo ogni giorno e come dipenda solo da noi riuscire a raggiungerla.
Le esperienze negative che ho vissuto nella vita mi hanno segnata, certamente, come accade a chiunque altro. Ma invece che eleggerle a vessillo del mio essere tapina rispetto al resto del mondo, le ho usate per capire davvero fino in fondo chi io fossi, se mi piacessi e chi volessi diventare.
Per un lungo periodo della mia vita, non solo non mi sono piaciuta (benchè il resto del mondo mi dimostrasse gradimento e anzi lodasse il mio modo di essere sempre “così gentile e disponibile”, per esempio); ma ho persino avuto dei dubbi enormi su che tipo di persona io fossi.
Rectius, su chi io fossi.
Ero talmente abituata a identificarmi con l’immagine di me stessa che apprezzavano gli altri, da essermi totalmente dimenticata di diventare la persona che avrei voluto e dovuto essere.
E mi ci è voluto più di un anno di terapia psicologica per capirlo; per capire che io non ero infelice, come credevo di essere..ero solamente insoddisfatta di me stessa.
Quando ho messo a fuoco questo, la mia vita è cambiata totalmente.
Ho scelto di diventare la persona che volevo essere, ho scelto di essere felice di me stessa e di ciò che ho.
Ho scelto io di cambiare e di essere felice. Ed è qualcosa che auguro a chiunque.
3. Un amico non è, e non dovrebbe essere, come il medico della ASL.

La prima delusione d’amicizia l’ho avuta a 19 anni.
Dopo 6 anni trascorsi totalmente in simbiosi con quella che credevo essere la mia migliore amica, mi sono ritrovata con una bella pugnalata alle spalle e, come non bastasse, anche trattata come se il torto lo avessi io.
Lì mi ero detta che avevo imparato e che non avrei sbagliato più.
Invece, anni dai 22 ai 24, persona diversa ma medesimo errore. Anche lì, mi ero affezionata tantissimo a una persona che invece, a un certo punto, mi ha cancellata dalla sua vita e senza nemmeno darmi una spiegazione. La spiegazione, scoprìì poi, era una vicenda con la quale io non avevo nulla a che fare ma che riguardava alcuni miei conoscenti. E io ne ho dovuto subire le conseguenze.
Quella volta lì mi sono detta: “giuro, stavolta ho imparato!“.
Ovviamente non è vero e di fregature negli anni ne ho prese altre, perchè alla fine io sono una persona buona…ma soprattutto perchè pesavo le persone nel modo sbagliato.
Ho sempre dato per scontato che la cosa più importante nell’amicizia fosse lo starsi accanto nel momento del bisogno. E in certa misura lo penso ancora oggi: voglio dire, se hai bisogno, a chi dovresti rivolgerti se non a un familiare o a un amico?
Col passare del tempo però ho imparato a prestare attenzione anche ad altre cose.
Per esempio, alla capacità delle persone di starti vicino anche se non sei tu a chiederlo. Alla loro tendenza, o meno, a voler condividere non solo le disgrazie o i problemi, ma anche e soprattutto i momenti felici e le cose belle.
Un buon amico, ritengo oggi, è quello che magari non riesce ad esserti accanto ogni ora di ogni giorno ma sa qual è il momento in cui la sua presenza è indispensabile anche se non sei tu a dirglielo. Perchè sa cosa succede nella tua vita, perchè ti conosce e conosce i tuoi punti deboli. Perchè sa bene cosa puoi affrontare da solo e cosa no..e decide di bussare alla tua porta nel momento giusto anche se tu non lo hai chiamato. Anche a costo di sentirsi mandare a fanculo, ma lui arriva.
Quando ho capito questa cosa, e lentamente ho iniziato a cambiare il mio modo di relazionarmi agli altri e il mio modo di pormi rispetto alle amicizie, ne ho perse parecchie.
Perchè non tutti sono disposti ad accettare che un bel giorno tu decida di smettere di essere il loro satellite per diventare finalmente il pianeta che meriti.
Non tutti concepiscono l’amicizia come la condivisione anche di momenti felici e cose belle: molti cercano gli amici solo quando hanno bisogno di aiuto.
Io li chiamo “i medici della Asl”: compaiono su tua richiesta quando proprio non sai cosa fare o stai talmente male che non ne puoi più.
Come il dottore: lo chiami e ti dà due pasticche e 4 giorni di astensione lavorativa.
Io questa cosa l’ho capita facendo un album delle foto dei miei figli. Quando ho guardato chi c’era accanto a noi nei momenti belli e felici, oltre che in quelli brutti, ho capito tante cose.
E ho semplicemente deciso che non fa per me.
4. Non posso controllare tutto.

Sembra banale, ma vi assicuro che il 90% della mia terapia psicologica ha lavorato su questo: sulla mia smania di riuscire sempre a prevedere, organizzare e gestire qualunque evento.
Le persone come me, fortemente ansiose, hanno bisogno di sapere sempre cosa accadrà dopo. Per questa ragione, sviluppano la tendenza ad affrontare la vita anticipando il corso degli eventi, per poterlo prevedere, organizzare e gestire nei minimi dettagli, con lo scopo specifico di evitare brutte sorprese, dolori e delusioni.
Cosa utilissima nella professione: niente, per un avvocato, è meglio della capacità di prevedere strategie ed eccezioni, onde prepararsi la corretta risposta da rifilare al malcapitato in udienza.
Ma nella vita ti logora ed è una delle più frequenti cause di burn out (del mio burn out e del caos che ne è seguito, invece, vi ho parlato qui).
Le cose non vanno sempre come noi vorremmo. La vita decide spesso da sola quale direzione prendere e bisogna saperlo subito, prima di essere disorientati da quella favoletta che “quisque faber fortunae suae“.
Non è vero. C’è un limite a quello che possiamo fare.
Il limite è nel discrimine tra noi e gli altri. Possiamo impegnarci al massimo per ottenere qualunque risultato, per raggiungere qualunque obiettivo, ma se quel risultato e quell’obiettivo non dipendono esclusivamente da noi, se implicano la partecipazione anche minima di qualcun altro al disegno complessivo…dobbiamo imparare ad accettare che noi siamo soltanto una parte dell’equazione.
L’importante è ovviamente l’impegno che abbiamo profuso, che sia sempre massimo per permetterci di essere fieri di noi e capaci di reinventarci..ma bisogna che ci sia subito chiaro che non sempre otteniamo ciò che vorremmo.
Vale per qualunque contesto non sia soggetto al nostro solo volere. Nel lavoro, in amore, nelle relazioni con gli altri: noi siamo solo metà del sistema.
E dobbiamo tenerlo sempre a mente. Sia in caso di successo che in caso di fallimento.
Meriti e colpe non sono mai solo nostri: le cose vanno come devono, perchè noi non possiamo controllare tutto.
5. Quando la persona è niente, l’offesa è zero.

Fino a qualche tempo fa, quando ero ancora la vecchia me, ero capace di grandi litigate, rabbie profondissime, quando qualcuno si comportava male nei miei confronti.
Non per niente, il mio quasi-infarto è dipeso proprio da una litigata in tribunale con un collega che aveva assunto un comportamento contrario al codice deontologico durante l’udienza e aveva avuto l’ardire di commentare il mio status di mamma dicendo “forse è il caso che stia a casa a fare la mamma se non ha tempo di attendere gli orari di udienza” (ciò perchè mi ero permessa di rappresentare che – dopo 3 ore di udienza – avevo urgenza di tornare a casa a far mangiare mio figlio).
Sono diventata una belva.
A parte il fatto che me lo sono mangiato davanti al Giudice, che assisteva basito alle sue parole ed esterrefatto alla mia furia, mi è quasi venuto un infarto.
Ma proprio per essere stata tanto male, finendo in ospedale con tutti gli annessi e connessi, posso dirvi che non ne è valsa la pena.
Non vale mai la pena di prendersi un’arrabbiatura se qualcuno si comporta male con noi, perchè la vergogna è tutta sua. Quel collega , dicendomi quelle parole sessiste e meschine, ha minato non solo la sua umanità, ma anche la sua intelligenza.
Ci ha perso lui, dimostrando a una folta platea di essere un uomo piccolo. Mi accadesse oggi, mi farei una risata.
Perchè chi male agisce, male vive…e non può farci alcun torto.
